Iside o Maria?

da “Luoghi e racconti di Napoli” di Marco Perillo

Si credeva che fosse una donna. Quel corpo sinuoso, che allattava vivaci puttini, metafora dei suoi affluenti. Ma poi, col ritrovamento di una testa barbuta e il restauro avvenuto nel 1657, si scoprì che era un maschio, e che era un dio. Era il Nilo, divinità fluviale veneratissima da quella comunità di egizi alessandrini che durante l’epoca romana si era stanziata lì, nella zona ancora oggi nota come Corpo di Napoli, cuore pulsante del centro antico.

Questa scultura marmorea, rimasta sotterrata fino al Quat­trocento, si trovava in quello che fu il vicus Alexandrinus, si­tuato molto probabilmente nelle adiacenze del grande tempio di Iside, veneratissima signora di tutte le creature, figlia del cielo e della terra, sorella di Nefti e Seth, oltre che di Osiride di cui fu anche sposa. Lui, che aveva portato la civiltà sulla Terra, ucciso a tradimento dal geloso e maligno Seth, il qua­le rinchiuse il suo corpo in una bara e lo gettò lì, nel fiume Nilo. La tenace e benevola Iside, grazie all’aiuto dello sciacallo Anubi, guardiano dell’oltretomba, ritrovò il feretro e decise di riportare in vita il suo fratello-marito. Ma Seth non si dette per vinto e tornato in possesso di Osiride lo smembrò in diversi pezzi che disperse lungo tutto l’Egitto. Nemmeno stavolta la testarda Iside si dette per vinta e, accompagnata da Nefti, vagò per ogni regione finché non ebbe ricomposto tutte le parti del corpo, riportando in vita l’amato grazie all’acqua sacra. Unica parte mancante era il pene, sostituito con un fallo d’oro che permise loro di generare un figlio, Horus. Il quale, una volta cresciuto, vendicò il padre uccidendo Seth e regnando sull’E­gitto intero. Osiride, invece, divenne il signore del mondo dei morti e a quel punto Iside, sua regina, già signora della vita, fu altresì padrona della notte, capace di vincere le leggi della natura con la sua magia, d’intervenire sulle sorti del mondo e cambiare i destini.

Nella zona napoletana dove Iside fu venerata, tra via dei Tri­bunali e cappella Sansevero, le suggestioni sono tante, dalla presenza di una statua di Pulcinella che, secondo alcuni, in base alle sue forme, ai suoi colori e al suo entrare e uscire da un mondo all’altro, sarebbe la derivazione di Horus, fino a quell’oltretomba presente nei sotterranei della chiesa del Pur­gatorio ad Arco, lì dove si perpetua il culto delle anime pezzentelle, proprio nelle adiacenze dei luoghi in cui si adorava Osiride. Ma non solo. Sembra che Iside, in qualche modo, sia rimasta nel dna di alcune credenze e tradizioni, perpetuate maggiormente in quell’area. Pensiamo, per esempio, al ferro di cavallo che accompagna il corno nei riti scaramantici, de­rivazione dell’icona delle corna di Iside e della sua immagine arcaica che indicava il ventre materno come una mezza luna, simbolo di fertilità femminile. E che dire del corno, il miti­co corniciello rosso napoletano, presente un po’ dovunque in città e soprattutto in quella fetta di centro storico, richiamo di quel fallo collegato a Osiride, che pure anticamente veniva portato in processione da quelle parti in onore del dio, insieme con un vaso pieno d’acqua, simbolo eterno di generazione? E a proposito dell’acqua, certamente gli antichi commercian­ti provenienti da Alessandria d’Egitto scelsero proprio quella zona di Napoli a causa delle sue forze sotterranee, per via della vibrazione magnetica che derivava dal sottosuolo e dovuta alla presenza di un fiume al di sotto del livello del terreno, il Taglina, il cui scorrere permetteva di celebrare al meglio i misteri isiaci. Già, perché l’acqua – da come abbiamo intuito – aveva un ruolo fondamentale nelle cerimonie a carattere misterico e iniziatico che si svolgevano all’interno del tempio della dea. Riti lunari, come ci racconta Mario Buonoconto nel suo Napo­li esoterica, in quella che fino a quel momento era stata una città solare, consacra­ta ad Apollo. Il nascere e il tramontare della luna, secondo il culto di Iside, erano sinonimo di forza trasformatrice, quella stessa che nelle Metamorfosi di Apuleio fu capace di mutare il giovane Lucio in asino, per poi ritrasformarlo in essere umano al termine di alcune prove iniziatiche.

Salvato dalla dea cui tutto era possibile, il romano Lucio si votò a essa e intraprese la carriera di avvocato per pagarsi i tributi necessari a partecipare ai suoi riti. Sapeva bene che si trattava della divinità più potente tra tutte, Dea Madre che racchiudeva in sé tutte le caratteristiche delle divinità femmi­nili fino a quel tempo conosciute. E probabilmente lo sapeva bene anche Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, che proprio nei luoghi alessandrini volle abbellire la sua cappella di famiglia con meravigliose statue e fregi, allegorie di un anti­co sapere iniziatico. La Pudicizia, dedicata a sua madre preco­cemente scomparsa, Cecilia Gaetani d’Aragona, è una donna velata cinta da rose: non possiamo non pensare che sia un sus­surrato riferimento a Iside, la cui presenza non è mai davvero nell’immaginario collettivo, napoletano e non solo. Pensiamo soltanto all’iconografia della Madonna col bambino, così si­mile a quella della dea egizia con il piccolo Horus in braccio, probabilmente motivo d’ispirazione per i monaci orientali cristiani quando si trattò di sdoganare e diffondere il culto mariano. Oppure pensiamo alla somiglianza pazzesca che c’è tra le vesti dei sacerdoti di Iside con quelle degli attuali devoti fujenti della Madonna dell’Arco, abiti bianchi con una stri­scia azzurra e risvolti rossi. Sì: i sacerdoti di Iside vestivano proprio così.

Certe analogie non possono essere un caso, e molto proba­bilmente non lo sono. Esistono culti sovrapposti, della serie “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”. Ed è molto probabile che la Madonna cristiana abbia assunto quelle che anticamente erano le caratteristiche della veneratissima Iside. Pensiamo soltanto a certe preghiere. Vengono quasi i brividi a fare certi confronti.

O santa e sempiterna salvatrice del genere umano, prodiga dispen­satrice di grazie in favore dei mortali, tu offri il tuo affetto di madre ai poveri che soffrono. Non passa giorno, non una notte, non un istante, per quanto breve, che tu non elargisca i tuoi doni, non protegga in terra e in mare i mortali, che tu non allontani le tempeste della vita e non porga la tua mano soccorritrice, non sciolga i contorti e intricati fili nel destino, non corregga il corso funesto degli astri. Gli dei del cielo ti onorano, quelli dell’inferno ti rispettano, tu fai ruotare la terra, dai la luce al sole, reggi l’universo, costringi il Tartaro nel profondo. A te obbediscono gli astri, per te si susseguono le stagioni, di te gioiscono i numi, tutti gli elementi sono al tuo servizio. A un tuo cenno soffiano i venti, le nubi si gonfiano, le sementi germogliano, i germogli crescono. Dinanzi alla tua maestà tremano gli uccelli che percorrono il cielo, le belve che errano sui monti, i serpenti che si nascondono sotto terra, i mostri che nuotano nel mare.

Così si rivolge Lucio a Iside nel II secolo d.C., pregandola affinché lo ascolti e gli conceda la grazia. Ecco invece alcuni versi di una preghiera a noi molto più vicina:

O Augusta Regina delle Vittorie, o Sovrana del Cielo e della Terra, al cui nome si rallegrano i cieli e tremano gli abissi, o Regina gloriosa del Rosario, noi devoti figli tuoi, raccolti nel tuo Tempio di Pompei, in questo giorno solenne, effondiamo gli affetti del nostro cuore e con confidenza di figli ti esprimiamo le nostre miserie.
Dal Trono di clemenza, dove siedi Regina, volgi, o Maria, il tuo sguardo pietoso su di noi, sulle nostre famiglie, sull’Italia, sull’Euro­pa, sul mondo. Ti prenda compassione degli affanni e dei travagli che amareggiano la nostra vita. Vedi, o Madre, quanti pericoli nell’anima e nel corpo, quante calamità ed afflizioni ci costringono […]. Tu siedi, coronata Regina, alla destra del tuo Figlio, splendente di gloria immor­tale su tutti i Cori degli Angeli. Tu distendi il tuo dominio per quanto sono distesi i cieli, e a te la terra e le creature tutte sono soggette. Tu sei l’onnipotente per grazia, tu dunque puoi aiutarci. Se tu non volessi aiutarci, perché figli ingrati ed immeritevoli della tua protezione, non sapremmo a chi rivolgerci. Il tuo cuore di Madre non permetterà di vedere noi, tuoi figli, perduti, Il Bambino che vediamo sulle tue ginocchia e la mistica Corona che miriamo nella tua mano, ci ispirano fiducia che saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in te, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, e, oggi stesso, da te aspettiamo le sospirate grazie.

Da come abbiamo già capito, sono le parole della preghiera alla beata Vergine del Rosario di Pompei, così amata a Napoli e in Campania, una delle cosiddette “sei sorelle” insieme con la Madonna dell’Arco – le altre sono quella del Carmine, quel­la di Montevergine, quella di Piedigrotta e quella delle Galli­ne di Pagani. Del resto, a Pompei esisteva un grande tempio dedicato a Iside, il primo a essere riscoperto nel Settecento, oggetto della curiosità dei sovrani europei nei secoli a venire e dei viaggiatori del Grand Tour, come un certo Wolfgang Amadeus Mozart, talmente impressionato da questo luogo in adolescenza da fungergli da ispirazione per uno dei suoi futuri capolavori musicali, Il flauto magico. Ma le affinità e i punti di contatto tra Iside e la cristiana Ma­donna non sono certo finiti qui. Pensiamo a quante Vergini sono raffigurate in trono, proprio come spesso e volentieri ve­niva rappresentata la dea egizia. Del resto la stessa parola “tro­no” anticamente era un sinonimo di Iside e non è un caso che presso gli antichi il parto avvenisse sulla sedia gestatoria, asso­ciata alla divinità, emblema dell’origine della vita. Per quanto riguarda la morte, invece, quante volte Iside è stata raffigurata addolorata, nell’atto di tenere sulle ginocchia il corpo mummificato dello sposo Osiride? Una posa che sorprendentemente ricorda quella della Pietà cristiana, con la Madonna a piangere il figlio Gesù appena sceso dalla croce. E a proposito dell’Ad­dolorata, così venerata nei quartieri popolari di Napoli, cosa dire delle sette spade che trafiggono il suo cuore, così ricon­ducibili ai sette chiodi con i quali Iside ricompose le membra disperse di Osiride?

No, non c’è da gridare allo scandalo. Non si tratta di es­sere eretici o meno. Ma solo di essere consapevoli di come storicamente il cristianesimo si sia servito del paganesimo per essere meglio assimilato, soprattutto nelle zone dell’entroterra italico, rimaste perlopiù pagane – da pagus, “villaggio”. Non era facile sostituire culti arcaici, così radicati, con i nuovi. E dunque si giungeva a un compromesso, magari trovando pun­ti di contatto o similitudini. Poi, nel corso dei secoli, specie con la Controriforma, la Chiesa ha spinto molto sul concetto di frattura col passato, mettendo all’indice le antiche divinità definite false e bugiarde, insieme col pensiero loro connesso. Quando invece vi era una certa continuità.

Forse è così che si è dimenticato il profondo legame che sus­sisteva tra il mondo di prima e il mondo di dopo. Pensiamo pure a un’altra caratteristica preponderante delle Madonne campane, quella di essere protettrici dei naviganti. Pensia­mo a quanti ex voto ammiriamo nelle basiliche mariane e che raffigurano sciagure marine, tempeste e naufragi. La Vergine Maria è lì che appare, risolve, salva. Eppure prima di lei tale compito era specifico di Iside, signora delle acque, alla quale, ai primi di marzo, era dedicato il Navigium Isidis, festa della ripresa della navigazione. Un rituale molto atteso, specie dalle nostre parti e che, un po’ come accade per la Pasqua, sanciva il ritorno dell’aspettata primavera. Ma non solo. Secondo re­centi studi il Navigium potrebbe sancire l’origine del nostro Carnevale. Gli odierni carri allegorici, così tipici della festa contemporanea, potrebbero infatti derivare dal carrus navalis in onore della dea. Anche l’uso delle maschere ricondurreb­be a quelle utilizzate durante i cortei del Navigium, stando a indicare un mondo alla rovescia in attesa di trasformazione, ovvero quella della primavera prossima ad arrivare.

Inutile dire che anche a Napoli, città delle acque, fino al Set­tecento esisteva uno dei più importanti Carnevali della peni­sola, sepolto e cancellato con il tempo, proprio come Iside e i suoi significati connessi, i quali talvolta, come sorgenti carsi­che, tornano in superficie per rinfrescarci la memoria.

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